Il progetto Continua nasce dall’idea di tre amici Mario Cristiani, Lorenzo Fiaschi e Maurizio Rigillo, che cercavano la via per realizzare la città d’arte di domani. Così fondarono Associazione Arte Continua e Galleria Continua. Associazione Arte Continua, attraverso il progetto Arte All’Arte, ha portato artisti e curatori di diverse generazioni, nazionali ed internazionali, a confrontarsi con il territorio toscano. Il motore di questo progetto è stato il tentativo di creare un punto di equilibrio tra città e campagna e produrre nuovi legami fra arte, architettura e paesaggio, restituendo all’arte un ruolo centrale nella rigenerazione delle città in armonia e nel rispetto delle campagne.
Abbiamo incontrato il presidente Mario Cristiani per i festeggiamenti dei 25 anni dell’Associazione Arte Continua.
Fabrizio Ajello: Partirei dalle origini, ossia dagli esordi di questa straordinaria avventura.
Mario Crisitiani: Intanto partirei dai miei trascorsi in politica, nel partito dei verdi, perchè in effetti andando a quelli che possiamo definire gli esordi, il mio obiettivo era fare una città in cui fosse normale trovare l’arte contemporanea come si può trovare l’arte del passato e il riferimento per me era San Gimignano. D’altronde io sono nato in un paese nella provincia di Avellino ed ero uno straniero in qualche modo. Per certi versi anche Lorenzo e Maurizio erano stranieri. Però forse chi vede le cose con una prospettiva differente da chi ci si trova “dentro” riesce a cogliere qualcosa che sfugge agli altri. E quindi per me era un privilegio poter vedere a San Gimignano l’arte del passato gratuitamente. Ma a questo punto mi chiedevo come una piccola città potesse dare continuità alla sua ricchezza culturale al confronto con le grandi metropoli. Quello che ci è pervenuto dal passato, se ci pensi bene, è un regalo e cosa saremo in grado di dare noi a chi verrà dopo? Inoltre non tutti sono concordi sulla qualità delle opere degli artisti contemporanei. Ma forse il punto è sempre stato e continua ad essere proprio questo, che la gente con le opere permanenti, prima o poi, si confronti e le valuti non solo nell’impatto immediato, ma soprattutto nel tempo.
F.A.: Quindi era anche un tentativo di rompere un certo tipo di stereotipo delle città ancorate al proprio passato senza una proiezione nel presente, se non nel futuro?
M.C.: L’arte contemporanea, per come la intendevo io, era anche la forza di spezzare un certo tipo di circolo vizioso consumistico. Gli artisti con la prospettiva avevano creato il tempo lineare, tempo frazionabile, che ha una continuità in una sola direzione, d’altronde l’essere umano nasce e muore, ma in un contesto circolare. Quindi o si spezza il contesto circolare o ci si adatta. Gli artisti hanno inventato la fuga e hanno rotto il tempo circolare e che questa invenzione sia avvenuta in seno alla chiesa è il paradosso allo stesso tempo uno dei caratteri più interessanti della chiesa cattolica. Al tempo i papi erano un po’ i nuovi aristocratici e cercavano di nobilitarsi attraverso l’operato degli artisti, ma nel passato avevano operato nello stesso modo i romani con i greci. E’ sempre una questione di sensibilità e di lungimiranza. Ma era anche il desiderio di esserci e possibilmente esercitare un potere nel tempo occupando uno spazio. Per questo, ad esempio sono molto affezionato al lavoro di Antony Gormley a Poggibonsi, in cui l’artista è anche committente e l’intellettuale che guida la comunità idealmente in un “altrove”. Per questo abbiamo lavorato da subito con artisti internazionali, perchè erano e sono riconoscibili e in grado di agire sulle comunità e incidere nel tempo. Molti affermano che la verità non esiste, ma in qualche modo ad un certo punto ti ci puoi avvicinare. E quando ti avvicini alla verità ci devi fare i conti, ecco perchè le opere sono sul territorio ed è giusto che rimangano sul territorio.

F.A.: Rispetto al coinvolgimento con la cittadinanza e le persone che vivono in questi piccoli centri, non avete mai pensato di coinvolgere i più giovani, ad esempio le istituzioni scolastiche, che spesso sono molto reattivi se stimolati?
M.C.: Sicuramente è importante, ma non è semplice fare comprendere le dinamiche dell’associazione e della galleria alle istituzioni. Lo sforzo nostro è sempre stato quello di bilanciare le nostre scelte, per non confondere i ruoli. L’associazione fa progetti no profit, la galleria opera nel commerciale. Detto questo, però Gormley nell’occasione di cui ti parlavo prima ha donato una scultura da 200.000 sterline per la didattica dell’arte. Quindi non solo ha regalato otto sculture alla città di Poggibonsi, ma ha anche cercato di finanziare un progetto di didattica artistica. Quindi concordo assolutamente con te sull’importanza della didattica.
F.A.: Un’altra questione molto attuale verte sull’arte pubblica, etichetta molto spesso utilizzata con molta leggerezza e forse in Italia non del tutto compresa come forma di espressione e di attivismo, anche se questo termine è anch’esso molto dibattuto e ambiguo.
M.C.: Importantissimo sicuramente è stato il rapporto con i sindaci che ci sostenevano e ci concedevano gli spazi, e nonostante questo tante volte arrivavano anche denunce. Quindi la questione non è solo di etichette, ma relazionale, anche di lavorare in modo tale che chiunque viva un posto periferico o venga da lontano possa sentirsi a casa propria e possa godere dell’arte gratuitamente. Qualità che si ritrova solo in una parte di mondo, che se vogliamo possiamo definire occidente. Altrove non mi sembra sia sempre possibile. La libertà in fin dei conti non è facile da accettare o da vivere. Nemmeno qui da noi è sempre accettata e rispettata. Una minima opposizione diciamo che è sempre possibile in un sistema più libero ed equilibrato. Ma il problema oggi è la forbice tra consumo immediato e consumo a lungo termine. E’ sparito il lungo termine e che chi è giovane si trova senza tempo, senza spazio e sempre con meno risorse. Questo consumismo cieco che ancora ci permettiamo è in crisi da una parte per la carenza di materie prime e in secondo luogo per il consumismo diffuso in ogni parte del pianeta. L’arte è ottimo modo per provare a far comprendere che la vera ricchezza sta nel punto in cui si toccano l’ossigeno, l’aria, l’acqua, poter uscire da uno stato di assoggettamento nei confronti del più forte. Attenzione, ovviamente è una questione di opposti, noi siamo per natura consumatori, ma la cosa è come si consuma che cambia tutto. Attraverso il valore simbolico le opere che sono buone adesso e che lo saranno ancor di più nel lungo periodo, e là che io vedo la possibilità che si possa comprendere l’importanza di un consumo consapevole.

F.A.: Esiste un intervento a cui tenevi particolarmente e non sei riuscito per qualche motivo a realizzare, o che per certi versi è rimasto in cantiere?
M.C.: In effetti da un po’ di tempo sto lavorando a un progetto di case popolari, come scultura abitabile. Vorrei che chi si trovasse in condizioni di difficoltà riuscisse a vivere in un posto che lo accoglie, un posto però che sia anche straordinario, che possa nello stesso tempo essere d’esempio per un certo tipo di sviluppo edilizio-architettonico e che possa coniugare bellezza e sostenibilità. Volevo partire dalla zona di Prato e dalla Manifattura tabacchi a Firenze. Insieme ad un imprenditore, Guido Poccianti, che ha trovato un sistema per abbattere i consumi energetici del 60% stiamo cercando di realizzare delle abitazioni che si autoregolino per mantenere costante la temperatura, eliminando l’umidità in eccesso. Ma la questione non è solo questa, vorrei proprio che fossero realizzate delle sculture abitabili. Se in fin dei conti le case popolari diventano il posto più bello di una città, i più ricchi dovranno competere con quello standard e migliorare anche le loro abitazioni. E’ un modo per spostare l’asse, per rovesciare certe abitudini e tendenze. Le gerarchie contano, ma chi si trova “in alto” deve incidere in positivo sul resto delle persone. Il valore deve riuscire ad avere una ricaduta positiva sulla collettività. Ed è per questo che abbiamo deciso di lavorare con artisti che riescono ad anticipare i tempi e ti costringono a fare i conti con ciò che non ti è ancora chiaro, con ciò che ancora è solo intuibile. Hanno il coraggio di affrontare ciò che spaventa molti, perchè generare valore apre nuove strade a tutti.
F.A.: A proposito di tendenze, siamo nell’era della performance, nel senso che moltissimi artisti si muovono sulla scia di grandi nomi, ultra premiati e riconosciuti dal sistema, penso a Marina Abramovic, Tino Sehgal, Anne Imhof, giusto per citarne alcuni. Cosa ne pensi di questa modalità espressiva, di questa poetica del corpo?
M.C.: Mah, una certa poetica c’è ma c’è anche un malinteso. Nel senso che l’idea dell’opera permanente era direttamente e fortemente connessa al potere, quindi essere “contro” il potere equivaleva a non lasciargli materialmente niente, ma la performance effimera non lascia niente nemmeno a chi il potere non ce l’ha. Le opere che abbiamo installato nei vari comuni sono state donate al Comune ma sono dei cittadini, l’istituzione ha il dovere di conservarle, tutelarle e renderle fruibili gratuitamente a tutti. L’opera di Mimmo Paladino e Brian Eno a Poggibonsi è dal 1998 che si trova lì. Le opere di Gormley dal 2004, Sol Lewitt, Kapoor e così via. Col passare del tempo le persone si affezionano a queste opere. Se dopo qualche tempo le togli, chi se ne accorge più? Chi ci si affeziona? Magari il collezionista che poi può comprarsele ed ammirarle a casa propria. La bellezza deve essere quotidiana per tutti. Non bisogna essere schiavi del passato ma nello stesso tempo bisogna considerarlo seriamente e rispettarlo.

F.A.: Questo è vero ed è importante. La meraviglia di trovarti spiazzato da un’opera nella quotidianità e trasformare un posto che semplicemente attraversi in uno spazio dell’immaginazione, della sorpresa.
M.C.: E’ proprio così. Ed infatti quello di cui parlavamo prima, ossia della didattica è importante, perchè senza una chiave di lettura ci metti qualche secolo a capire quanto siano importanti certe cose. Il passato ci ha reso disponibili molte opere meravigliose che nel tempo sono entrate nella mente e nel cuore delle persone. Anticamente nelle chiese ci andavano tutti, dal pastore, al mercante, dal contadino all’artigiano e il rapporto con le opere d’arte era parte della vita di ogni giorno, del passare del tempo. Questo per secoli è stato anche un presidio di bellezza contro un certo tipo di consumo del territorio che purtroppo è sempre divenuto più selvaggio. Un mondo migliore è a portata di mano, ma sembra sempre così difficile fare un passo nella giusta direzione.
Penso sempre al mio, chiamiamolo, ispiratore, il notaio Bindo Grazzini che intorno al 1460 commissionò al Pollaiolo un’Assunzione di Santa Maria Maddalena, una tecnica mista su tavola, per la pieve di Staggia, in provincia di Siena. Ma nessuno si ricorda del notaio, intanto tutti potevano e possono fruire di una meraviglia come quella. Ecco, lo spirito è un po’ questo. Era lo spirito di Luciano Pistoi, inoltre, che si permetteva di fare ciò che riteneva fosse giusto fare. A lui sicuramente va tutta la mia gratitudine per la fiducia che aveva anche in chi come noi non sembrava avere molte chance.
F.A.: Esiste una differenza sostanziale tra produzione artistica italiana, o sarebbe più corretto dire in Italia, e internazionale?
M.C.: Forse più che questa riflessione ne farei un’altra, ossia cercherei di riflettere sul passaggio di testimone tra gli artisti più giovani e quelli ormai affermati. Nel senso che sarebbero neccesari dei percorsi di confronto, come ad esempio delle residenze d’artista per metterli in contatto, per generare opportunità. La galleria, il museo sono spazi chiusi che hanno la loro funzione, mentre servirebbero “spazi aperti” per permettere un certo tipo di confronto e produzione. Noi in fin dei conti abbiamo scommesso su di un’impresa privata, con delle responsabilità non da poco, però in grado in alcuni casi di affrontare il fuori, perchè avendo sperimentato il sistema ci si può permettere di aprire una strada più ampia e condivisa. Ad ogni modo intraprendere un percorso come quello dell’associazione Arte continua è stato un rischio, tenendo ben distinta l’attività commerciale da quella no profit, in un paese come l’Italia in cui soprattutto quando abbiamo iniziato, le gallerie si camuffavano da associazione per non pagare le tasse o confondere gli artisti e gli appassionati, è stato per me necessario coniugare attività commerciale a quella non. Necessario perchè nella vita se hai un’idea non puoi girarti dall’altra parte o ucciderla. Io non voglio uccidere un’idea e non ho intenzione di farlo neppure in futuro.
Fabrizio Ajello
In copertina: Kiki Smith, Yellow girl, Torrino Rocca di Montestaffoli, progetto/ UmoCA, progetto per Arte all’Arte, Associazione Arte Continua- 2011
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