Quando sono gli artisti ad essere anche collezionisti: dischi, scarpe femminili, foglie, cartoline, riviste d’arte e riproduzioni della Fontana di Duchamp… L’esposizione Indvidual Stories- Collecting as portrait and methodology – in corso a Vienna ci rivela le collezioni personali di venti artisti contemporanei.
Quello del collezionare oggetti tra i più disparati è un atto che nasce dal piacere di appropriarsi del più grande numero di cose, mettendole in categorie spesso insolite, dando loro un valore nuovo, un significato che supera l’oggetto stesso. Secondo Walter Benjamin, per il collezionista il senso di proprietà è la forma di legame più intimo che lo unisce agli oggetti. È un’esperienza personale che diventa pubblica nel momento in cui tali oggetti sono messi in relazione con il contesto, con la storia.
Molti artisti per esempio sono dei singolari collezionisti. Hanno l’abitudine di raccogliere una grande varietà di oggetti secondo un interesse che può essere talvolta estetico o concettuale oppure formale. Sembra che a dare il via all’ “artista come collezionista” sia stato Marcel Duchamp che accumulando “ready-mades” e firmandoli, trasformò oggetti di uso comune in opere d’arte.
L’esposizione – Indvidual Stories- Collecting as portrait and methodology – in corso fino all’undici di ottobre a Vienna al Kunsthalle Wien, ci rivela proprio le collezioni personali di venti artisti contemporanei. Emerge un metodo nel raccogliere un certo tipo di oggetti che mette in luce, a seconda dei casi, aspetti della personalità dell’artista-collezionatore oppure il processo creativo che vi è alla base, o ancora il flitro attraverso cui legge il contesto in cui è immerso.
Tra i venti artisti che hanno reso visibili le proprie collezioni troviamo il progetto Fountain Archives di Saâdane Afif, una serie di pubblicazioni che riproducono la famosa Fountain (1917) di Duchamp, e che Saâdane Afif provvede a ritagliare, firmare e incorniciare. Troviamo il metodo ripetitivo con cui Jaques André accumula diverse copie degli stessi dischi o libri, di seconda mano o comprati su internet, mettendo in relazione con l’arte il mondo consumistico e il rapporto che abbiamo con i beni materiali.
Attraverso la collezione di Hans-Peter Feldmann, una serie di scarpe femminili dai tacchi alti, gli oggetti non sono più indossabili ma acquistano un carattere fetish e vita propria. La collezione di Michaela Maria Langenstein ci rivela il mondo che precede il suo processo creativo con una collezione di foglie, oggetti senza valore materiale, onnipresenti ma che non ricevono molta attenzione. La collezione di immagini, cartoline, riviste d’arte e libri rari costituisce invece un archivio di materiali sull’arte contemporanea costruito negli ultimi venti anni da Maurizio Nannucci, con il proposito di preservarli dall’oblio, cercando la possibilità di dar loro un valore universale. Hanne Lippard ci presenta una raccolta di screen shots di informazioni scartate, parole equivoche o senza significato pescate nelle profondità del World Wide Web, a cui viene data nuova vita con il filmato When you worry call me I make you happy grazie a un’indifferente voce stile karaoke.
Questi sono solo alcune delle collezioni presentate, tutte molto diverse tra loro poiché partono da storie individuali di artisti differenti e che diventano loro stesse un’ opera d’arte.







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