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2° giovedì del mese | Paolo Conte. La seduzione del Novecento

“Le parole di Paolo Conte” è il titolo di un libro edito da Allemandi, un testo che contiene molte delle sue parole che sono poesie, narrazioni sofferte ma armoniose, esteticamente impressionanti.

Ma non sono le parole di Paolo Conte quelle che contano o, almeno, non sono soltanto loro.

È la musica, è l’arte, è la sua voce languida, cavernicola e sensuale che risuona, sono le sue contorsioni da pensatore alla Rodin che si strugge e si crogiola al contempo sul pianoforte.

Paolo Conte è seduzione in musica. È la figura dell’amatore di un tempo che fu, un sogno che ti sfiora per sempre rimanendo laggiù, nel Novecento.

Figura malinconica che, come molti intellettuali della sua generazione, si è salvata dall’abisso della tristezza sublimandolo nell’arte, nel senso estetico che avrebbe potuto veramente salvare il mondo, come la bellezza di dostoevskiana memoria

Comunque sia, Paolo Conte è stato, è e sarà sempre la tragicità che si eleva attraverso l’arte, la malinconia che non diviene disperazione perché sfocia nella sensualità della narrazione di storie.

Paolo Conte compone la musica, prima di tutto. Poi vengono le parole che si stagliano perfettamente nell’atmosfera tratteggiata dalle note. È quindi compositore, scrittore, autore di canzoni (e anche pittore, altra sua manifesta passione, nonché ex-avvocato di professione).

Ma questo non basta. Le sue opere sono inascoltabili se prodotte da lui stesso in sala di registrazione, davvero. Perché Conte vive nell’esecuzione, nei suoi concerti dove sì che le parole prendono vita di fronte a un pubblico, immancabile spettatore che permette a tutto di funzionare alla perfezione.

Paolo Conte esiste, pienamente, sul palcoscenico.

Eccolo lì, al centro, con una mirabile corte di musicisti e coriste che lo accompagnano lasciandolo solo con il suo pianoforte, su cui rigetta un’arte istintiva, vorace e contorta ma pur sempre elegante nella sua teatralità sapientemente orchestrata.

Naso prominente, fronte aggrottata, baffi spioventi. Ricurvo e proteso sulla tastiera, mentre quell’espressione un po’ sorniona te lo fa adorare come se fosse bellissimo.

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Voce non studiata e per questo molto profonda, esistenziale, con un timbro che è un’eco del Nord Italia, delle pianure piemontesi con il loro inverno duraturo, la loro nebbia autunnale che fa solo intravedere la Francia e la sua arte in libertà.

Conte ha sempre vissuto ad Asti, in campagna, ma con il cuore anche in Francia, soprattutto a Parigi. Da molto tempo vive con sua moglie Egle nella sua bella casa che è come “la cuccia di un cane” da cui non gli va, più di tanto, di separarsi mai.

Nelle sue opere c’è questo amore indiscusso per un’unica donna, amore che si esplicita in Un gelato al limon, con cui Conte offre ad Egle umili cose, disagiate e poco attraenti su un piano oggettivo, ma romanticamente adorabili sul piano soggettivo, condivisibile da chiunque lo desideri.

Nelle sue composizioni c’è anche l’amore seducente per tutte le donne che vi compaiono, figure raccontate, immaginate o vissute… basta un inciso a loro rivolto per far assaporare a qualsiasi fruitrice l’incantesimo dell’adulazione.

E poi c’è, alla fine e all’inizio, l’amore onnivoro e onnicomprensivo per la musica che, come se fosse una donna, va corteggiata indossando le “scarpe lucidate”, stile Novecento.

Alessandra De Bianchi

 

About the author

Alessandra De Bianchi

Classe 1984, due figli maschi, un gatto, un marito e una laurea magistrale in Filosofia. Lavoro: scrittura e correzione testi su commissione come libera professionista, per chiunque ne abbia bisogno. In passato: galleria d’arte, casa editrice e ufficio stampa, collaborazioni come editor, organizzazione eventi e partecipazione come autrice al romanzo In territorio nemico, minimum fax 2013.

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