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2° giovedì del mese | Memento

Che realtà hanno i ricordi quando non sono condivisi, quando soltanto una persona li custodisce senza che gli altri ne conservino memoria?

La maggior parte delle persone è dotata di memoria selettiva. Solo particolari avvenimenti, perlopiù salienti, vengono ricordati in maniera chiara e distinta, mentre tutto il resto scivola via e si staglia in una nebulosa da cui è difficile tirar fuori qualcosa di vivido.

Le cose accadono e poi scompaiono. Pezzi spazio-temporali si abbandonano al non-essere. Scivolano via. Si scompongono, si affievoliscono… fino a sparire del tutto senza lasciare traccia.

Solo pochi ricordano, in modo netto, dettagliato, cronologizzato… per cui è raro che ci si soffermi sul valore del ricordo, su quanta realtà possa ancora essergli riconosciuta quando non è più condiviso.

È un po’ come il quesito che il filosofo irlandese George Berkeley (1685 – 1753) pose per avvalorare la sua tesi dell’Esse est percipi: «Se un albero cade in una foresta e nessuno ne sente il suono, fa rumore?».

Sono sofismi che rasentano il paradosso, ma che ancora possono stimolare, in chi ha l’inclinazione ai rompicapi, una riflessione sull’oggettività.

Il ricordo è già di per sé irretito nella soggettività ed è difficile riconoscergli un valore oggettivo. Ci sono ricordi che, oltretutto, riguardano episodi vissuti in solitudine, per i quali questo discorso non ha senso.

Ma soffermiamoci sui ricordi che coinvolgono più persone, quelli di episodi in cui l’interazione con gli altri ha un valore primario nella definizione degli accadimenti. Può capitare che a un fratello, a un miglior amico, a un fidanzato o marito si narri nei minimi particolari un’esperienza vissuta insieme, soggettivamente importante, e che l’altro ci guardi con occhi smarriti, senza riuscire a far riemergere nella mente quei segni del passato ancora così presenti nella mente di chi ne custodisce memoria.

Memento invoca anche la Chiesa nelle sue preghiere, o nei moniti sulla caducità dell’esistenza.

Ricorda.

Eppure, gli esseri umani tendono a dimenticare. E quelle poche persone che, nel bene e nel male, ricordano tutto si sentono come Cassandra, non creduti, screditati del loro principio di oggettività e veridicità, con la sola differenza che le loro non sono proiezioni sul futuro ma richiami del passato realmente accaduto che svaniscono nell’altrui dimenticanza.

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Maestro del ricordo a livello cinematografico può essere considerato Christopher Nolan che si guadagnò il successo proprio con Memento (2000), un film incentrato sulla memoria e sulla sua assenza, che il regista ha poi ipostatizzato in Inception (2010), pieno crogiolarsi nei deliri spazio temporali che ci fanno smarrire nel dedalo dei sogni e dei ricordi senza appigli di indubitabile realtà.

A livello archetipico è la lotta, che nessun mito racconta, tra Mnemosyne, la memoria che dà i nomi alle cose, e Crono, il dio che divora i suoi figli così come il tempo che inarrestabile va avanti con il suo potere di cancellazione.

Chi ha il dono, o la condanna, di conservare i ricordi lotta per la conservazione, per fermare lo scorrimento temporale, per fissare ciò che accade e far sì che non vada perduto.

Ma se non riesce a trovare qualcun altro che permetta di oggettivare la memora nello spazio della condivisione, tutto perde il suo principio di realtà e la vita finisce per essere una sequenza di hic et nunc che si annullano l’un l’altro.

Alessandra De Bianchi

About the author

Alessandra De Bianchi

Classe 1984, due figli maschi, un gatto, un marito e una laurea magistrale in Filosofia. Lavoro: scrittura e correzione testi su commissione come libera professionista, per chiunque ne abbia bisogno. In passato: galleria d’arte, casa editrice e ufficio stampa, collaborazioni come editor, organizzazione eventi e partecipazione come autrice al romanzo In territorio nemico, minimum fax 2013.

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