Sicuramente Terence era quello fascinoso e amato da tutte, più oscuro e fuggitivo – un po’ come Dylan in Beverly Hills rispetto al damerino Brandon –, ma il primo vero amore di Candy era un altro, quella figura delicata e apollinea, principesca e sognante, con gli iconici capelli biondi e occhi azzurri: Anthony.
Candy Candy ha accompagnato più di una generazione, con la sua tragicità sublimata nella forza di un’eroina che va avanti da sola contro tutto e tutti, sebbene le vicende si svolgano agli inizi del Novecento e persino durante la Grande Guerra. Un eroismo al femminile che in fondo è anche soltanto una strenua rassegnazione, in stile soap opera, a sorridere e ad andare avanti qualsiasi cosa accada, sempre e comunque.
Tratto dal romanzo degli anni ‘70 della scrittrice Kyoko Mizuki e trasposto in manga con i disegni di Yumiko Igarashi, Candy Candy è un anime andato in onda per la prima volta in Giappone nel 1976, mentre in Italia è stato protagonista dei pomeriggi sui canali berlusconiani dal 1982 al 1997, coinvolgendo quindi varie fasce di bambini e adolescenti.
La storia è drammatica, in perfetto stile fine-Novecento, così come erano tragiche le condizioni esistenziali, familiari in primis, di Annette, Pollyanna, Lady Oscar, Georgie, Milly… insomma di tutte le eroine-cartoon dell’epoca, che come minimo erano orfane e in più dovevano affrontare, quasi fossero la versione rosa di un cavalleresco romanzo di formazione, mille peripezie e tragedie di vario tipo.
Di tragedie, anche dovute alla guerra, Candy ne ha attraversate e ce ne ha fatte di conseguenza attraversare davvero tante. Una in particolare, avvenuta quando l’intricata trama era ancora all’inizio, fu la morte di Anthony.
Nella memoria collettiva sarà più impressa la vicenda dell’amore impossibile con Terence, ma se vogliamo soffermarci su un discorso iconografico ed emblematico a livello generazionale non possiamo non mettere in risalto il fatto che Anthony, il bel ragazzo che amava le rose, morì cadendo dal suo cavallo bianco.
Fu dunque, a tutti gli effetti, la morte del principe azzurro.
Anthony era bello, di una bellezza fin troppo perfetta. Era un salvatore che aveva aiutato moltissimo Candy nelle sue traversie dopo l’adozione… E di punto in bianco morì, proprio mentre era insieme alla sua amata ragazzina.
Una scena terribile, buttata in faccia ex-abrupto a tutti i bambini. Pochi anni di età e già davanti agli occhi un lutto impossibile da elaborare, crudele, inesorabile.
Il bel principe muore, muore cadendo dal suo cavallo bianco e non tornerà più.
Non è il banale disincanto di dire “il principe azzurro non esiste”, non è così, il principe azzurro esiste eccome, ma muore in un giorno di svago come può morire un fiore reciso da una folata di vento.
Noi bambine e bambini dell’epoca siamo cresciuti con quella sequenza ben stampata nella mente, più o meno consciamente. C’è chi l’ha rimossa, chi crede di non averla manco vista. Fatto sta che prima del nuovo millennio non c’erano mica SpongeBob o Gumball con le loro assurdità e personaggi surreali. Senza voler fare discorsi passatisti che rimpiangono un tempo che fu, di sicuro in quegli anni il senso drammatico dell’esistenza veniva, quantomeno, fatto vedere, senza trasmigrare come avviene invece negli odierni intrattenimenti per bambini su terreni di irrealtà.
A quel tempo si poteva vedere anche in un cartone animato il paradosso del reale disincanto, l’inconscia consapevolezza che l’illusione esiste ma che può scomparire in un attimo.
Come una musica dolce che c’è, si può ascoltare, ma che all’improvviso viene spenta senza spiegazioni.
Alessandra De Bianchi
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